RASSEGNA STAMPA – RACCOLTA NEWS SU CONVEGNO NOVATIC E CONVEGNO LUDOPATIE
“L’imposizione di distanze minime dai cosiddetti siti sensibili, così come è stata concepita sinora rischia di diventare una fuga nel proibizionismo mentre invece potrebbe diventare parte di una politica che contribuisca a dimensionare il gioco con vincite in denaro entro i confini di un proporzionato e controllato divertimento. E’ uno dei passaggi chiave dell’intervento di Alessandro Aronica, vicedirettore dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, all'interno del libro realizzato da Novomatic “Gioco pubblico e raccordi normativi”. “Per quanto sommaria e del tutto preliminare rispetto ad approfondimenti che chiamano in causa diverse e differenziate competenze, la ricostruzione degli andamenti delle principali variabili del sistema legale del gioco apre a qualche riflessione utilmente spendibile nel contesto delle discussioni correnti, culturali e politiche. Un primo elemento su cui riflettere è il legame tra domanda e offerta di gioco. L’evoluzione che abbiamo descritta è compatibile con l’idea che domanda e offerta di gioco si abbraccino prima in segreto (se sia l’offerta illegale o la domanda a fare il primo passo non è di grande interesse); se così fosse, la legalizzazione dell’offerta avrebbe, almeno in parte importante e in prima battuta, il ruolo di far emergere una domanda compressa o sommersa, di acquisire risorse alla fiscalità generale, di garantire ai giocatori condizioni di trasparenza e correttezza. Le analisi sui moventi dei comportamenti individuali possono o meno consentire di confermare questa ipotesi di lavoro; tuttavia, alla luce delle vicende che abbiamo ricostruito, sostenere “sic et simpliciter” che l’offerta legale è il presupposto fondamentale di una domanda altrimenti inesistente appare discutibile; certo, in nessun settore le scelte e le preferenze dei consumatori possono formarsi al di fuori della gamma di prodotti realmente esistenti, ma qui il punto è che i prodotti spesso esistono già nel mercato parallelo. Naturalmente questa riflessione è interessante perché si riferisce direttamente alle dinamiche dei cosiddetti “giochi nuovi”, ovvero apparecchi da divertimento e giochi a distanza. Un secondo elemento di riflessione riguarda il volume di gioco e il volume delle perdite. Come abbiamo visto le due variabili conoscono un’evoluzione fortemente differenziata, soprattutto in relazione al prevalere (nell’offerta e nelle scelte dei consumatori all’interno dell’area legale) di giochi con un Pay Out elevato, quando non elevatissimo. È questa una caratteristica che accomuna le AWP, le VLT e il gioco a distanza. Nel caso delle AWP e del gioco a distanza la forte divaricazione tra la Raccolta e la Spesa può essere considerata il sintomo della riconduzione del gioco in una dimensione di divertimento in cui la sollecitazione dell’azzardo (o della speranza di un “colpo di fortuna” che cambi la vita) finisce sullo sfondo, a favore di una motivazione di puro svago, di impiego del tempo libero (e non mancano, per esempio nel settore “a distanza”, giochi senza vincite in denaro capaci di “garantire” un altissimo consumo di tempo con una spesa irrisoria). Nel caso delle VLT, invece, il Pay Out molto elevato non può essere considerato la garanzia del puro passatempo, dal momento che le puntate elevate e le asimmetrie di perdite e vincite collocano in primo piano proprio la dimensione dell’azzardo. Se si eccettuano le VLT, cui non è difficile associare la possibilità di perdite economiche anche ingenti in un breve lasso di tempo, il rischio di una spesa eccessiva attraverso gli altri canali del gioco legale sembra riconducibile più direttamente a una attitudine soggettiva del giocatore piuttosto che alle insidie intrinseche dei diversi giochi (e spesso si manifesta attraverso una combinazione di essi). Che di questa attitudine si possa parlare anche in termini medici, ovvero come di una patologia specifica, è un passo successivo che ormai viene compiuto pacificamente. Ciò che appare, tuttavia, paradossale sono le conseguenze che se ne traggono circa l’offerta legale. In base alle caratteristiche del gioco (la puntata massima è di 1 euro e la vincita massima è di 100 euro), nelle AWP prevale senz’altro in prima battuta la dimensione dell’intrattenimento (anche alla luce di un Pay Out superiore al 70 per cento). Tuttavia si tratta di giochi che è possibile realizzare semplicemente e in rapida successione, con il solo ausilio di una macchina, considerati a motivo di queste altre caratteristiche maggiormente suscettibili di agganciare vocazioni alla dipendenza. Si sostiene che un gioco ha “un alto contenuto di pericolosità oggettiva, con forti rischi di uso ossessivo compulsivo quando la sua stessa struttura ontica è connotata da… velocità nello svolgimento del gioco, minimo intervallo di tempo tra le giocate, assenza di intermediari, automatismo nell’esecuzione del gioco”. In realtà, dimostrare che esiste una patologia specifica e che esistono soggetti incapaci di controllarsi, causa una loro predisposizione individuale, dovrebbe alleggerire le responsabilità dell’offerta. Nel dibattito corrente, al contrario, la “medicalizzazione” funge spesso da premessa a una tesi sostanzialmente proibizionista. Tale proibizione, naturalmente, riguarderebbe oggi il gioco che si vede, quello legale. Come se, nell’individuare la chiave di questo problema, si scegliesse di cercarla in una zona illuminata, ben sapendo che potrebbe trovarsi con maggiore probabilità in una zona d’ombra delle coscenze e, anche, naturalmente, del contesto sociale. Orbene, accertato che nella famiglia delle dipendenze esiste anche la cosiddetta “ludopatia”, con una diffusione che travalica ormai la stretta cerchia di personaggi noti (e, solo per questo, un poco irreali) e coinvolge tutti i ceti, in particolare, categorie di cittadini molto fragili e con molto tempo libero (i giovani, i pensionati, i disoccupati), è un errore continuare a sottolineare i rischi associati alle grandi perdite economiche (rispetto ai quali il proibizionismo appare poi una tentazione irresistibile), non considerando che anche il divertimento insistito, ancorché esente da conseguenze irreversibili sul piano economico, è un problema meritevole di essere affrontato con serietà nell’ambito di un confronto culturale ed educativo che ha gli anni della storia del mondo e che i genitori responsabili conoscono benissimo da sempre, perché non si contano le volte che sono stati costretti a riprendere per le orecchie i “patiti” del flipper o, prima ancora, delle carte e dei dadi o, nell’antica Roma, degli astragali. Per tornare, infine, al tema del Convegno, vi è da chiedersi, allora, da questo punto di vista più ampio, non religioso né etico, ma culturale, se l’imposizione di distanze minime dai cosiddetti siti sensibili, così come è stata concepita sinora, non rappresenti, nei fatti, una fuga nel proibizionismo – una fuga che chiude gli occhi rispetto alle future rivincite del circuito illegale – mentre, invece, potrebbe diventare, se ragionevolmente concepita, parte di una politica che contribuisca a dimensionare il gioco con vincite in denaro (ma non solo quello) entro i confini di un proporzionato e controllato divertimento. Una recente sentenza del Consiglio di Stato15 sembra confortare questo punto di vista alternativo. La sentenza ha respinto il ricorso del Comune di Bologna contro una sala scommesse a cui era stata negata l’autorizzazione a un trasferimento di sede. Il Consiglio di Stato ha sì affermato che l’imposizione di una distanza di rispetto costituisce uno strumento idoneo per contribuire a limitare il diffondersi di fenomeni di dipendenza, ma ha anche sottolineato come “l’individuazione di una distanza piuttosto di un’altra discenda invece dall’esercizio di una discrezionalità amministrativa, che effettui la ponderazione con i contrapposti interessi allo svolgimento delle attività lecite di gioco e scommesse, alla luce dei canoni della adeguatezza e della proporzionalità”. Supponiamo che le distanze minime costituiscano, anziché una misura di sbarramento, una risorsa di ultima istanza nel caso di imprese che si sottraggano al rigoroso abito del gioco regolare e controllato, fissato in norme che stabiliscano elevatissimi standard qualitativi per chi offre gioco al pubblico (sia in sale dedicate, sia in pubblici esercizi). In una cornice normativa di questa chiarezza, i Comuni potrebbero utilizzare le distanze, anche molto significative, quasi come una sanzione. È evidente che in questo caso sarebbe più semplice dare concretezza, in via generale, a quella esigenza di adeguatezza e proporzionalità nell’utilizzo della discrezionalità dell’ente locale che il Consiglio di Stato ha voluto indicare. È questo, a nostro avviso, lo spazio logico entro il quale può individuarsi, in coerenza con una impostazione non proibizionista ma vigile, una soluzione equilibrata ai problemi che vanno emergendo e che la nostra società si va ponendo. Anche sul piano poi del più ampio confronto culturale ed educativo, si rinvengono norme specifiche nella più recente legge di stabilità laddove si afferma (articolo 1, comma 941, della legge 208/2015) che: “Il Ministero della salute, di concerto con il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, anche attraverso l'utilizzo dei propri siti web, predispone campagne di informazione e sensibilizzazione, con particolare riferimento alle scuole di ogni ordine e grado, sui fattori di rischio connessi al gioco d'azzardo, al fine di aumentare la consapevolezza sui fenomeni di dipendenza correlati, nonché sui rischi che ne derivano per la salute, fornendo informazioni sui servizi predisposti dalle strutture pubbliche e del terzo settore per affrontare il problema della dipendenza da gioco d'azzardo”. Ma per confronto culturale si intende qualcosa di ulteriore e diverso, una capacità complessiva della nostra società di formare individui consapevoli, capaci di scegliere e di poter attraversare una sala scommesse così come altri luoghi di tentazione senza perdere la testa. È difficile oggi non convenire sul fatto che, al di là del gioco d’azzardo patologico e della spesa complessiva comunque impegnata dalle famiglie in questo settore, vi è un problema di tempo consumato (non rileva ai fini del ragionamento che sia sottratto alle attività produttive o che sia libero) che sembra possa configurarsi come eccessivo anche in relazione a chi è perfettamente in grado di tenere sotto controllo le conseguenze economiche del gioco. Si tratta quindi di trovare un equilibrio, di ridurre le distanze tra la posizione di Bernardino da Siena, che associava al gioco dei dadi “non meno di 15 differenti peccati” e, tra questi, annoverava la perdita di tempo, e quella di Carlo Rovelli che – nell’incipit del capitolo dedicato alla relatività del suo “Sette brevi lezioni di fisica” ricorda: “Da ragazzo, Albert Einstein ha trascorso un anno a bighellonare oziosamente. Se non si perde tempo non si arriva da nessuna parte, cosa che i genitori degli adolescenti purtroppo dimenticano spesso”. Si tratta oggi di trovare un equilibrio, non di dettarlo. È evidente che il confronto culturale è aperto a tutto campo e non si “gioca” nello specifico settore, ma soprattutto altrove nell’economia e nella società. Vi è chi ritiene che lo Stato (quello centrale evidentemente in questa fase storica) non avrebbe titolo etico a concorrervi per il fatto di essere beneficiario, come abbiamo visto, di introiti che annualmente sono compresi tra gli 8 e i 9 miliardi di euro. Alla base del ragionamento vi è spesso una netta distinzione tra gli interessi della collettività e quelli del governo pro tempore, come se quest’ultimo si appropriasse per esigenze contingenti di un extra-profitto tributario, cui sarebbe bene, invece, in nome dello Stato etico, rinunciare. In realtà, come sappiamo, nel quadro restrittivo di finanza pubblica degli ultimi anni, le posizioni dello Stato e quella dei governi pro tempore, considerate in astratto e, in tesi, così lontane, hanno dovuto avvicinarsi, dovendosi considerare il cospicuo apporto del settore all’erario un contributo al finanziamento indistinto della spesa pubblica (meritevole quanto essa lo è nella media) difficilmente rinunciabile. Per quanto siamo venuti dicendo riteniamo che i due ruoli, quello di protagonista del dibattito culturale e quello di regolatore di un settore in cui, come in altri, vi è un problema di tutela dei soggetti deboli e di contrasto all’illegalità, siano compatibili. Al tema bisogna comunque avvicinarsi con umiltà. Prima del Papa Alessandro VII (1655-1667) i romani potevano giocare al lotto solo all’estero (Napoli, Modena, Genova); consentito da Clemente XI e Innocenzo XIII, il lotto fu proibito in perpetuo da Benedetto XIII, con editto che il suo successore, Clemente XII, prima confermò e poi abolì, perché non si riusciva a impedire che i romani continuassero a puntare sui lotti esteri. Tanto valeva che ne traessero vantaggio le finanze pontificie. Permesso il lotto a Roma, la minaccia di scomunica colpiva chi ardisse continuare a giocare sui lotti esteri”. lp/AGIMEG
Giochi, Aronica (vice dir. Adm) "La spesa del gioco non è cresciuta, ma è aumentata la quota del gioco legale"
"Siamo un po' un paese di giocatori, non lo si può negare" ha detto Alessandro Aronica, vice direttore dell'Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, nel corso della presentazione del libro "Gioco pubblico e raccordi normativi". Aronica ha però precisato che occorre essere chiari sulle cifre del settore: "Il valore da prendere in considerazione non è la raccolta, ma le "perdite". E queste ammontano a 17 miliardi l'anno. Peraltro la metà di questa cifra torna alla collettività sotto forma di gettito". Per quanto riguarda le normative locali di contrasto al gioco, Aronica ha spiegato che i Monopoli hanno effettuato una simulazione, prendendo come unico luogo sensibile le scuole, tralasciano chiese, ospedali e altre strutture normalmente inserite nelle liste stilate dagli enti locali. "L'effetto è che il 70% dei centri dovrebbero traslocare o chiudere. Il che vuol dire che l'offerta di gioco legale dovrebbe essere ridotta sostanzialmente". Il primo effetto sarebbe però quello di rafforzare l'offerta illegale: "nonostante il nostro impegno, ci sono settori che ancora sfuggono al nostro controllo. Inoltre, bisogna considerare che in questi anni la spesa del gioco non è cresciuta, è cresciuta la quota del gioco legale". Insomma per Aronica "un'alternativa al proibizionismo esiste", ma sulla questione si attendono le decisioni della Conferenza Unificata. gr/AGIMEG
È stato presentato questa mattina a Palazzo Rospigliosi a Roma il volume dal titolo “Gioco pubblico e raccordi normativi”. "Tra i diritti fondamentali c'è anche quello di fare impresa senza discriminazioni. Il sistema gioco in Italia necessita di una normativa chiara", è uno dei passaggi chiave della prefazione al volume proposta dall’avvocato Paolo Leone: “Quando i promotori di questo volume decisero, dopo un importante convegno sul gioco, di raccogliere in un volume alcuni interventi, avvalendosi della disponibilità di autori prestigiosi, ho avuto qualche perplessità. Mi sembrava un azzardo in tempi di e-books e di archivi informatizzati! Ebbene ‘azzardo’ è proprio il termine di cui si abusa impropriamente per descrivere il gioco legale autorizzato e su cui ruotano dicerie, leggende, sogni e delusioni; quindi, visto che il progetto doveva partire ho deciso di accogliere l’invito ed azzardare anche io qualche pensiero. Nei molti anni di avvocatura mi sono occupato, e tuttora continuo, del settore in posizione privilegiata, ossia studiare le regole e poi vivere la loro applicazione in diretta con le imprese. Imprese coraggiose quelle del gioco, per la tenacia dimostrata nonostante alcuni scossoni legislativi e le ingiuste campagne mediatiche ed i pregiudizi. Con l’introduzione nel 2009 delle Videolottery (VLT) mi accorsi inizialmente quanto gli operatori e gli investitori apprezzarono la regolamentazione specifica del settore giochi accompagnata da prescrizioni tecniche all’avanguardia e collocata, se così si può dire, all’interno di un ordinamento giuridico che godeva fama di affidabilità. Ciò comportò una rinnovata fiducia nel ‘sistema del gioco legale’ italiano di cui andare fieri. In particolare, il raffronto avveniva con le nazioni dell’est europeo, il Sud America e l’Estremo Oriente, ed anche con qualche nazione occidentale. Infatti la certezza delle regole, e l’esistenza di un ente regolatore preposto (Monopoli di Stato) tecnologicamente attrezzato, fu la base della nuova era del gioco monitorato nella operatività dallo Stato, che si rivelò anche la più efficace delle armi contro il gioco sommerso gestito dalla malavita. La nostra Costituzione, tra i principi fondamentali, tutela i diritti di libertà e quelli di fare impresa senza discriminazioni. Discendono dalla nostra Carta Costituzionale e si ramificano, in materia di gioco ma non solo, una serie numerosa di leggi, regolamenti, decreti e circolari. In questo quadro generale si registrano da qualche anno – con una particolare accelerazione negli anni recenti – domande di chiarezza normativa da parte degli operatori del gioco che si trovano spaesati e spiazzati di fronte ai continui cambiamenti; aggiungo anche le contraddizioni ed i conflitti tra norme nazionali e quelle degli enti locali in genere che sono sempre più frequenti. Il legislatore aveva accelerato nel 2014, con opportuna legge delega, il progetto di racchiudere e razionalizzare tutte le norme sul gioco in un codice apposito; sarebbe stata un’opera meritoria che ricorda il virtuoso codice della navigazione del 1942 che ci vide primi nel mondo a disciplinare in modo sistematico il diritto marittimo ed aeronautico. Attendiamo di dare il benvenuto al codice del gioco! Con la legge di stabilità 2015 si è inciso in senso negativo su posizioni giuridiche già acquisite (concessioni di gioco del 2004 e degli anni seguenti della durata di molti anni) modificando le certezze degli operatori e dando luogo ad una retroattività “impropria”, con ciò vanificando ogni previsione economico finanziaria delle imprese stesse e dell’intero comparto. Non penso solo alle multinazionali che operano in scenari macroeconomici, ma penso anche alle piccole imprese come gli esercenti e la filiera collegata. Esistono allora dei limiti al potere discrezionale del legislatore? La risposta è affermativa se si vuole osservare scrupolosamente il dettato costituzionale; diversa è la risposta se prevalgono posizioni tese ad accontentare una piccola ma rumorosa parte di opinione pubblica”. Prosegue ancora nella prefazione l’avvocato Leone: “In passato, con l’articolo 11 delle Disposizioni sulla legge in generale, approvate preliminarmente al codice civile (R.D. 16 marzo 1942, n. 262) il legislatore si era posto il problema della retroattività, prevedendo che «la legge non dispone che per l’avvenire: essa non ha effetto retroattivo». La Corte Costituzionale, dal lontano 1957, aveva sostenuto l’eccezionalità della deroga della retroattività, che dovrebbe essere dettata innanzitutto da ‘estrema necessità’ e adeguatamente motivata. La Corte Costituzionale affermò anche che la retroattività, infatti, non deve contrastare con il principio di tutela dell’affidamento legittimamente posto sulla certezza dell’ordinamento giuridico, la quale, elemento essenziale dello Stato di diritto, non può essere lesa da norme aventi effetti retroattivi che incidano irragionevolmente su situazioni regolate da leggi precedenti (Corte Cost., 15 luglio 1994, n. 311; 2 luglio 1997, n. 211; 4 novembre 1999, n. 416). Deroghe a questi principi, purtroppo, ve ne sono state anche per necessità finanziarie dello Stato in piena legittimità ma, a mio parere, con alcune forzature non sempre rilevate o contrastate a dovere. Tutto ciò, come facilmente previsto, ha aperto la strada a molti contenziosi alcuni dei quali pendenti al vaglio della Corte Costituzionale. Spesso si è fatto riferimento – ed aggiungo che in alcuni casi gli enti locali ne hanno fatto uno scudo per varare provvedimenti ad alta visibilità per fini elettorali o di consenso – alla ‘ludopatia’ dipingendolo come fenomeno devastante e criminalizzando gli operatori e lo stesso Stato. Il problema esiste ma in misura ridotta, come dimostrato dai dati ufficiali, e comunque molto ma molto distante da altre forme di dipendenza come, ad esempio, l’alcolismo e le tossicodipendenze. Gli esempi descritti, che sono solo una parte della complicata vita degli operatori del gioco, potrebbero ingenerare un giudizio di negatività generalizzata; e la crisi economica che ci perseguita dal 2008 induce al pessimismo facile. Tuttavia, ci viene spiegato, con una prospettiva scientifica e originale, dal Prof. Norbert Bolz (autore di un saggio ‘Chi non gioca è malato’) che ‘le regole del gioco garantiscono un ordine grazie al quale si sa sempre cosa si deve fare. Per questo il mondo del gioco è migliore della realtà perché mette il giocatore al centro dell’attenzione e ci fa vivere in modo assoluto l’appagamento di un attimo… e libera quelle sensazioni che altrimenti nella vita quotidiana non trovano più una collocazione. Se ti piace giocare fallo ma con giudizio’. Mi piace sintetizzare affermando che il gioco è intrattenimento e gioia di vivere e, quindi, farlo con giudizio non è peccato né reato; e ciò spiega anche il perché, nonostante le bufere economiche e il clima ostile di una parte della politica e dell’opinione pubblica, le persone giocano comunque ed il settore sopravvive tra molte difficoltà con sempre maggiore creatività e tenacia nel rispetto delle regole. Non posso infine fare a meno di rammentare, a me stesso per primo, che il gioco è una vera e propria industria che investe molto anche in ricerca tecnologica e occupa molte decine di migliaia di persone solamente in Italia e alimenta quotidianamente – ossia con entrate quotidiane – le finanze dello Stato italiano in misura notevole. Perché non trattarla come una rispettabile industria? Su questo tema ne sento di tutti i colori compresi i giudizi sprezzanti e diffamatori sui protagonisti. Questo è fuorviante, pericoloso e falso e tutti, a cominciare dai media, dovrebbero invece valutare che ogni volta che si attacca il gioco legale le società criminali brindano; il vero pericolo non è il gioco in sé, ma il rischio che si alimenti, seppure come effetto non voluto, l’illegalità”. Termina così la prefazione al volume “Gioco pubblico e raccordi normativi”: “Non è difesa ad oltranza di interessi partigiani ma buon senso! Auspico, quindi, una maggiore attenzione alla comunicazione e diffusione capillare di informazioni oggettive. La domanda per il gioco esiste e va gestita attentamente senza cadere nella trappola del proibizionismo. Concludo con l’auspicio che si torni ad attivare il circuito virtuoso che ha reso grande l’Italia, ossia quello di non legiferare a tutti i costi ma gestire efficientemente le problematiche nell’interesse dei cittadini e nello spirito di osservanza alla Costituzione. Anche le risultanze della Conferenza Stato-Regioni potranno contribuire se terranno conto della realtà e della necessità di armonia legislativa. Con sapienza e rapidità perché il mondo non ci attende. Ad maiora!”. cdn/AGIMEG
Giochi, nel 2015 spesa dei consumi delle famiglie italiani oltre 1000 miliardi di euro. I giochi hanno pesato per l'1,7% Lo scorso anno, il totale dei consumi delle famiglie italiane è stato di oltre mille miliardi di euro. Di questi i giochi hanno pesato per 17,5 miliardi, vale a dire 1,7% sulla spesa totale. I dati, fonte di un’elaborazione su dati Istat e dell’Agenzia delle entrate ed inseriti nel libro "Gioco pubblico e raccordi normativi", rendono quindi bene l’idea di quanto la spesa del gioco sia un piccolo capitolo nella spesa dei consumi delle famiglie italiane. Ecco i dati di spesa nel settore del gioco, raffrontati con altre voci di consumo, dal 2008 al 2015:
(dati in miliardi di euro) es/AGIMEG |
Giochi, il 77,7% dei punti vendita di gioco a 500 metri di distanza delle scuole. Se dovessero chiudere, l'Erario perderebbe oltre 3,5 miliardi di euro
Eliminando tutti i punti vendita di gioco che si trovano a 500 metri dalle scuole, si arriverebbe ad una riduzione del gettito erariale per 3,5 miliardi di euro. E’ quanto emerge dall’analisi dei punti vendita di gioco in Italia presenti a 500 metri dalle scuole: praticamente si parla del 77,7% dei punti vendita, quindi due terzi dei punti di gioco verrebbero di fatto azzerati. Il conto scende di poco riguardo i punti vendi a 300 metri di distanza da una scuola: si tratta del 62,6% del totale dei punti e la riduzione del gettito erariale toccherebbe i 2,8 miliardi di euro. Un quinto dei punti vendita di gioco dovrebbe invece chiudere, analizzando tutti quelli a 100 metri di distanza delle scuole: la percentuale è infatti del 18,6% per un totale di riduzione del gettito complessivo di 838 milioni di euro. es/AGIMEG
Giochi e Leggi regionali, ADM: distanziometro in vigore in 11 regioni. In Lombardia distanza minima 500 metri, in Veneto demandata ai singoli Comuni
Negli ultimi tre anni (tra il 2013 e il 2015) ben 14 regioni hanno adottato leggi regionali in materia di giochi e scommesse, con campi di interventi in particolar modo indirizzati a tutti i tipi di sale da gioco e in parte – soprattutto in Friuli, Lombardia, Piemonte e Trentino – focalizzati sugli apparecchi da intrattenimento. E’ quanto emerge dai dati dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli presentati nel libro realizzato da Novomatic “Gioco pubblico e raccordi normativi”. Il distanziometro è ad oggi presente in gran parte delle regioni italiane, anche se in misura diversa fra regione e regione: e se in Abruzzo, Liguria e Trentino la distanza minima dai luoghi sensibili è di 300 metri, in Basilicata, Friuli, Lombardia, Puglia, Toscana, Umbria e Valle d’Aosta le misure sono ancora più stringenti, con una distanza di almeno 500 metri, mentre in Veneto è demandata ai singoli Comuni. I luoghi sensibili protetti dal distanziometro riguardano sale gioco, impianti sportivi, luoghi di culto e scuole. Meno stringente, attualmente, la questione relativa agli orari di apertura delle sale gioco. In Lombardia, Veneto e Valle d’Aosta le regole sono dettate dai singoli Comuni, mentre nelle altre regioni non vi sono vincoli di legge. lp/AGIMEG
Giochi, presentato alla Camera Vademecum "Giocatori d’azzardo patologici e servizi bancari" realizzato da Bper Banca
Un supporto a sostegno delle famiglie con un giocatore d'azzardo patologico. È questo il senso del Vademecum "Giocatori d’azzardo patologici e servizi bancari", un opuscolo di 20 pagine diffuso su tutto il territorio nazionale con lo scopo di informare i familiari del giocatore patologico sui principali servizi bancari e sui comportamenti che possono consentire di tutelarsi nel rispetto della normativa vigente, del diritto alla riservatezza e del segreto bancario. I familiari di chi è affetto da gioco d’azzardo patologico, infatti, hanno il problema di controllare e contenere i comportamenti di spesa dei loro cari e il Vademecum vuole essere un prezioso supporto in tal senso. Il Vademecum, realizzato da Bper Banca in collaborazione con l’Associazione Onlus “Centro Sociale Papa Giovanni XXIII” di Reggio Emilia, è distribuito con il supporto di varie organizzazioni: la Campagna “Mettiamoci in gioco”, il “Coordinamento nazionale gruppi per giocatori d’azzardo”, il gruppo interparlamentare “Non è un gioco” e il Centro Servizi Volontariato di Modena. Il Gruppo Bper è stato uno dei principali istituti di credito a emanare un'apposita circolare rivolta ai propri dipendenti che definisce una serie di azioni sul tema. "L'approccio di Bper al tema è laico e non ideologico: non si vogliono criminalizzare i gestori che svolgono un'attività lecita, ma neppure restare indifferenti di fronte a un fenomeno sociale così preoccupante", spiega il vice direttore vicario dell'Istituto, Eugenio Garavini, durante la presentazione alla Camera. dar/AGIMEG
Giochi, Basso (Pd): "Contenere offerta sul territorio, ma evitare proibizionismi"
"Occorre un contenimento dell'offerta del gioco sul territorio, senza proibizionismi". È quanto afferma il deputato Lorenzo Basso (Pd), coordinatore del gruppo interparlamentare sui temi del gioco d’azzardo durante la presentazione del Vademecum "Giocatori d’azzardo patologici e servizi bancari", realizzato da Bper Banca in collaborazione con l’Associazione Onlus Centro Sociale Papa Giovanni XXIII di Reggio Emilia. Basso precisa poi che "serve una legge nazionale, che tenga però presente le esigenze diverse degli enti locali". dar/AGIMEG
Giochi, Basso (Pd) a Agimeg: "Sì a divieto totale della pubblicità, ma gioco non va abolito"
"Io sono per il divieto totale di pubblicità, ma non per l'abolizione del gioco". Lo rivela a Agimeg il deputato Lorenzo Basso (Pd) a margine della presentazione del Vademecum sulla ludopatia, sottolineando l'importanza di "sbloccare le proposte di legge ferme in commissione Finanze (sullo stop totale della pubblicità, ndr) per un conflitto di competenze tra Camera e Senato. Scelgano da quale Camera iniziare ma è necessario riprendere l'iter e procedere con un divieto assoluto non solo della pubblicità, ma anche delle sponsorizzazioni". Il deputato, che durante i Mondiali aveva presentato una petizione per bloccare gli spot, in vista dell'inizio degli Europei osserva che "manterremo alta l'attenzione. Intanto spero nel pieno rispetto di quanto previsto dalla legge di Stabilità 2016", con lo stop dalle 7 alle 22. dar/AGIMEG
Giochi, Iori (pres. CoNaGGA): "Vademecum su ludopatia è strumento utilissimo. Va tutelata anche la famiglia del giocatore patologico"
"La relazione con il giocatore patologico è importante, ma lo è altrettanto supportare il patrimonio delle famiglie. Occorre limitare i danni ed evitare che ciò che rappresenta una vita di risparmi possa essere dilapidato, venduto o ipotecato, in poco tempo. Nella speranza che, un domani, lo stesso giocatore patologico sia riconoscente di avere avuto una rete di sostegno che si è mossa per arginare i danni". È quanto afferma il presidente di CoNaGGA, Matteo Iori, durante la presentazione del Vademecum "Giocatori d’azzardo patologici e servizi bancari", realizzato da Bper Banca in collaborazione con l’Associazione Onlus Centro Sociale Papa Giovanni XXIII di Reggio Emilia, di cui Iori è presidente. Iori ritiene "utilissimo avere qualche strumento per controllare le operazioni sospette, sapere quali siano i possibili interventi a sostegno della famiglia su bancomat, conto corrente, conto online, assegni, carte di credito, cessione del quinto dello stipendio, fidi, sconfinamenti, rate non pagate, censimento di tutti i debiti, sovraindebitamento, usura, amministrazione di sostegno, ed altro ancora". dar/AGIMEG
Giochi, Zappolini (Mettiamoci in gioco) a Agimeg: "Subito divieto totale pubblicità. A breve attiveremo conteggio del ritardo dell'approvazione della legge"
"La pubblicità deve essere abolita, è lo stesso principio del fumo: io sono per il divieto totale". Lo rivela a Agimeg don Armando Zappolini, portavoce della campagna Mettiamoci in gioco, a margine della presentazione alla Camera del Vademecum sulla ludopatia. Parlando delle proposte di legge sullo stop totale degli spot ferme nelle commissioni Finanze di Camera e Senato, Zappolini annuncia che "a breve, se riusciamo già dalla prossima settimana, attiveremo un timer sul sito, una sorta di conto alla rovescia per evidenziare da quanto tempo quei provvedimenti sono fermi senza essere approvati". dar/AGIMEG